Un negozio pieno di vestiti e persone a rappresentare il concetto di Fast Fashion

Se preferisci ascoltare questo articolo, clicca qui sotto!

“Fast Fashion”, letteralmente “moda veloce”.

È l’ultima novità, ennesima piaga di questa società moderna.

Questo termine, breve e conciso, racchiude una realtà fatta di rifiuti e inquinamento.

Ma vediamo più nel dettaglio di cosa si tratta.

L’esplosione della Fast Fashion globale

Una via piena di negozi che si susseguono uno dietro l'altro, secondo il concetto di Fast Fashion.

La Fast Fashion ha inizio negli anni ’80, ma poi esplode ufficialmente negli anni 2000 quando le grandi aziende iniziarono la loro ascesa grazie al fenomeno della globalizzazione.

In questi anni tutte le grandi aziende e i brand più famosi in giro per il mondo hanno iniziato a produrre un numero sempre più grande di collezioni di vestiti ogni anno. 

Questo fenomeno si è sviluppato con una grande velocità in tutti i Paesi più sviluppati,

portando alla crescita di un settore dell’abbigliamento che realizza intere collezioni di bassa qualità a prezzi “stracciati”.

Insomma, l’unico obiettivo degno di nota per queste filiere di vestiti nazionali e internazionali è giusto quello di fare più soldi possibili!

La Fast Fashion della qualità scadente e degli sprechi enormi

Un camion pieno di vestiti di colori diversi.

Alcune delle grandi catene di abbigliamento tendono a non dare alcuna reale importanza alla qualità dei vestiti,

alle tecniche di produzione e al tipo di materiale da utilizzare all’interno dell’intera catena di produzione.

Molto spesso, infatti, i capi di vestiario vengono prodotti usando una grande quantità di pesticidi e sostanze chimiche aggressive tanto per l’ambiente quanto per la salute del nostro corpo.

Ma valutiamo qualche numero:

  1. Il 25% dei vestiti prodotti ogni anno rimane invenduta e viene buttata, tanto che è stato calcolato come, ogni secondo, una quantità di vestiti pari ad un intero camion viene bruciata o buttata nelle discariche;
  2. -1% della quantità globale di vestiti viene riciclata in nuovi capi di abbigliamento.

Ogni anno, solo considerando l’Unione Europea,

ben 5 milioni di tonnellate di vestiti e calzature vengono buttati,

e ben l’80% di questo materiale non viene nemmeno riciclato ma, piuttosto, finisce dritto negli inceneritori e nelle discariche.

E quel 20% che non finisce nelle discariche che fine fa?

In questo caso parliamo di capi di abbigliamento che esportiamo in altri Paesi e poi niente più tracce!

Dal momento che oltrepassa le frontiere non abbiamo più alcun diritto di sapere nulla sul destino di quel 20%!

L’impatto ambientale dei materiali sintetici nella Fast Fashion

Il fondale marino con tanti pesci, ma anche con tanta microplastica che inquina, derivante da materiali usati per abbigliamento tipico della Fast Fashion.

Il problema della Fast Fashion non riguarda solo il complicato e dubbioso destino dei nostri capi.

Guardando le etichette dei vestiti della maggior parte delle grandi catene ci è chiaro fin da subito come siano prodotti tutti (o comunque la maggior parte) usando materiali non proprio di grande qualità.

Oltre il 60% delle fibre tessili usate per produrre il nostro quotidiano abbigliamento è formato per lo più da fibre sintetiche quali nylon, acrilico e poliestere.

Tutti materiali che derivano per la gran parte dalla raffinazione di idrocarburi come gas e petrolio.

Prendiamo il poliestere, ad esempio!

Questo materiale è un derivato del petrolio che, dopo solo alcuni lavaggi, inizia a rilasciare nell’ambiente microplastiche che sono poi rilasciate nei mari,

risalgono la catena alimentare, finiscono prima nel nostro cibo e in seguito persino nel nostro organismo.

È proprio il minimo interesse per la salute umana e ambientale a rendere l’industria della moda la seconda industria più inquinante al mondo

Sempre dopo quella del petrolio comunque!

È allarme sostanze tossiche nel fashion italiano

Un cumulo di vestiti per terra che prendono fuoco.

Nel 2022 Greenpeace ha svolto delle indagini su alcuni dei brand più conosciuti e seguiti in Italia e non solo. 

È riuscita così a dimostrare come molti dei vestiti che tanto ci piacciono e vogliamo nei nostri armadi,

in realtà contengono un’ enorme quantità di sostanze tossiche al loro interno. 

Quantità che è stata persino superata, in alcuni casi, di ben il 600% del limite legale!

In più, molti dei rifiuti provenienti da abiti e calzature di molti prodotti delle grandi marche,

per diversi anni venivano bruciati in fornaci per mattoni in Cambogia,

obbligando i lavoratori ad un’esposizione lunga e continua dei fumi tossici prodotti da questo assurdo smaltimento.

Industria della moda e dati preoccupanti su acqua e gas serra

Un fiume che attraverso una cittadina abitata.

Considerando solo questo grande mercato internazionale,

la Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite ha evidenziato la grande problematica che questa industria sta rappresentando ormai da anni per tutta l’umanità.

Qui sotto qualche dato considerato:

  1. È responsabile del 20% dello spreco globale dell’acqua;
  2. Produce circa il 10% delle emissioni di anidride carbonica globale, oltre a produrre più gas serra di tutti gli spostamenti aerei e navali del mondo.

Questa immensa industria, comunque, non si limita a creare danni nel campo della risorsa idrica e in quello della produzione di gas serra!

La grande produzione di abbigliamento, infatti, a causa della grande quantità di pesticidi utilizzati,

causa un inquinamento massiccio di fiumi e terreni che sfortunatamente si ritrovano vicino le fabbriche che ogni giorno scaricano nell’acqua pesticidi, coloranti e sostanze tossiche, o comunque aggressive per l’ambiente, utilizzati per la colorazione dei tessuti.

Per queste attività non è solo la natura a rimetterci di salute,

ma anche tutte le popolazioni che, sempre in maggior concentrazione, abitano vicino a questi corsi d’acqua e utilizzano queste risorse idriche per le proprie attività agricole e personali quotidianamente!

Eppure, non è con l’inquinamento di fiumi e laghi che terminano gli enormi danni causati dall’industria della moda.

Impatto ambientale dei resi online: la verità dietro al trasporto e al packaging

Un camion usato per il trasporto dei resi online tipico della Fast Fashion.

Almeno una volta nella vita ci sarà capitato di dover fare un reso.

Almeno alle persone che comprano online, in fondo il numero aumenta ogni giorno sempre di più.

Ma ci siamo mai domandati che fine fanno VERAMENTE questi capi che rimandiamo indietro e, soprattutto, quale può essere l’impatto che questi resi hanno sulla salute ambientale?

Molti dei nostri resi online viaggiano per decine di migliaia di chilometri tra Europa e Cina, senza nessun costo per noi.

Almeno economico.

Il costo ambientale, invece, supera di gran lunga ogni possibile aspettativa.

Un’ulteriore indagine effettuata da Greenpeace Italia, in collaborazione con la trasmissione televisiva Report,

ha rivelato infatti una filiera logistica da definire più che altro “schizofrenica”.

In media, il trasporto di un  ordine, e a seguito un reso, corrisponde a circa 2,78 kg di anidride carbonica, con una percentuale di packaging che si aggira intorno al 16%.

Ciò significa che se consideriamo solo il fattore “confezionamento”, in media per ogni pacco vengono utilizzati circa 74 grammi di plastica.

Insomma, il trasporto del reso di un capo comporta un aumento di circa il 24% delle emissioni di anidride carbonica.

Dunque, potremmo affermare con certezza che quella della Fast Fashion non è un’attività da poter definire propriamente “green”!

E come sempre, vi aspetto alla prossima insostenibile notizia dal mondo dell’ambiente miei cari EcoWarriors!

Di Zoe

Sono una divulgatrice e guida ambientale appassionata. Creatrice di EcoHorizon, condivido articoli su ambiente, novità scientifiche, pratiche ecosostenibili, piante e animali. Quando non sono impegnata a scrivere, conduco escursioni e workshop per avvicinare le persone alla natura. Seguimi su EcoHorizon per scoprire come possiamo proteggere e preservare il nostro pianeta insieme!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *