Per più di un secolo e mezzo la plastica ha conquistato i cuori della maggior parte dei produttori mondiali grazie proprio alla sua grande capacità di maneggiabilità e adattabilità in ogni possibile realtà produttiva di interesse umano.
La plastica è un materiale molto versatile che è stato in grado di trasformare completamente l’ intera società moderna.
Ad oggi, però, la realtà è del tutto differente.
Plastica: un veleno mortale per il nostro pianeta
La plastica non è più quel miracoloso materiale che tutti desiderano e venerano, ma al contrario,
ad oggi, è la più grande fonte di inquinamento ambientale dei nostri tempi.
Sono all’ incirca 430 milioni le tonnellate di plastica che vengono prodotte a livello globale ogni anno,
e una grande e significativa quantità di queste tonnellate viene riversata negli oceani, nei fiumi e nei laghi causando dei danni irreparabili a tutti gli ecosistemi naturali.
Per non parlare poi del fatto che solamente il 9% della plastica viene effettivamente riciclato, a livello mondiale!
La maggior parte di questo materiale, infatti, viene smaltita in discarica, bruciata o dispersa nell’ ambiente.
Tutte azioni, queste, che non fanno altro che peggiorare ulteriormente il danno prodotto da questo materiale.
Ad oggi è fin troppo chiaro come servano delle soluzioni innovative per riuscire ad affrontare questa grande crisi.
È proprio in questo contesto che pone le sue radici un grande chimico della Virginia Tech, negli Stati Uniti: il professore e studioso di chimica Guoliang Liu.
Il professore di chimica Guoliang Liu, insieme al suo team di ricercatori e studenti,
ha sviluppato in questi ultimi anni un rivoluzionario metodo in grado di convertire alcune tipologie di plastica in prodotti utilizzabili quotidianamente come detergenti e saponi.
Il meccanismo alla base di questo processo tanto rivoluzionario si divide principalmente in due fasi:
- Termolisi;
- Funzionalizzazione chimica.
Prima fase: termolisi
La prima fase è definita “termolisi”.
Si tratta di un processo chimico attraverso il quale la plastica viene riscaldata a temperature molto elevate che variano dai 340 ai 400°C.
È questa, infatti, la temperatura perfetta per la rottura di tutti quei legami chimici che vanno a legare gli atomi presenti all’ interno del materiale plastica.
Attraverso questo processo di termolisi, quindi, Liu e collaboratori hanno potuto suddividere la plastica in diversi componenti, ognuno dei quali con delle proprie caratteristiche.
Il primo componente è risultato essere il gas, elemento che può essere facilmente catturato per essere poi riutilizzato come combustibile.
Successivamente i ricercatori si sono accorti dell’ esistenza di minime quantità di residui solidi,
materiali che vengono normalmente prodotti in seguito alla termolisi della plastica in quanto sono dei componenti inerti e non volatili.
Ciò significa che, in realtà, non hanno alcuna capacità di trasformarsi in gas o petrolio durante il riscaldamento.
Possibili composizioni di questi residui solidi sono:
- additivi della plastica: come pigmenti, ossido di metallo o silice, che non si degradano con il calore e che possono accumularsi come residui solidi;
- carbonio residuo: parte del carbonio presente nella plastica non è in grado di vaporizzare e quindi tende a rimanere in forma solida;
- impurità e contaminanti: presenti nella plastica di scarto, come particelle di sporco o materiali estranei.
Infine, il terzo componente ritrovato in seguito alla termolisi della plastica è proprio il petrolio,
quindi l’ elemento più importante per il processo di riciclo della plastica studiato da Liu e collaboratori.
L’ inquinamento da plastica è ormai un problema che coinvolge tutti gli ecosistemi presenti sul pianeta Terra
tanto da esser stata ritrovata persino sulle alte cime dei ghiacciai sotto forma di microplastiche!
Seconda fase: funzionalizzazione chimica
Una volta terminata la fase di riscaldamento in seguito al processo di termolisi, i ricercatori del Virginia Tech hanno dato il via alla seconda fase dello studio: la funzionalizzazione chimica.
Questo processo chimico utilizza come componente fondamentale il petrolio ottenuto proprio dalla termolisi precedente,
modificandone così la sua struttura molecolare e trasformandolo in saponi e detergenti.
Ma come mai Liu e collaboratori utilizzano in particolare il petrolio per la formazione di questi saponi e detergenti?
Il petrolio generato dal precedente processo di termolisi è costituito da molecole formate solo da 14 atomi di carbonio e idrogeno.
Gli atomi di carbonio, inoltre, sono legati tra di loro in maniera lineare, vale a dire come se si trovassero tutti su un unico piano “monodimensionale”.
Allo stesso tempo il sapone che noi normalmente utilizziamo per lavarci le mani o i detersivi che usiamo per lavare le nostre case,
sono costituiti da tante molecole che si dividono, fisicamente, in due parti:
- una lunga catena di carboni e idrogeni che per natura tendono ad allontanarsi dall’ acqua;
- un’ estremità che si lega alla catena di carboni e idrogeni e che, al contrario, interagisce con l’ acqua.
Dunque, la catena di carboni e idrogeni del petrolio risulta essere molto simile a quella presente nei saponi naturali che utilizziamo quotidianamente.
Ecco perché è stato utilizzato proprio il petrolio per la produzione di questi possibili saponi derivanti dalla plastica.
Chimicamente parlando si assomigliano veramente molto!
Quando alla plastica si aggiunge l’ economia
Il metodo proposto da Liu è molto promettente,
soprattutto considerando il fatto che lui stesso utilizza già da diverso tempo questi saponi prodotti dalla plastica nel suo laboratorio e con i suoi collaboratori.
Questa scoperta, quindi, sarebbe già scientificamente pronta per la produzione di una nuova e sostenibile realtà!
Il grande ostacolo per l’ applicazione su scala industriale di questi prodotti risulta essere quello economico.
Per la sua ricerca durata per oltre cinque anni, Liu ha già richiesto diversi investimenti, importanti sia in termini di tempo sia di risorse,
e l’ evoluzione di questo metodo su larga scala porta ad ulteriori ostacoli.
Integrare degli impianti per le reazioni chimiche del processo, quindi termolisi e funzionalizzazione chimica,
richiederebbe un aiuto economico non da poco da parte di investitori ed aziende.
Inoltre, sebbene il metodo produca sicuramente dei materiali utili come saponi e detergenti,
è importante per i finanziatori del progetto capire se questi prodotti potrebbero effettivamente essere competitivi sul mercato, se paragonati alle solite alternative tradizionali.
Insomma, più di una tonnellata di plastica trasformata in saponi sarebbe un profitto veramente sostenibile?
Infine, un altro grande limite ad oggi risulta essere lo sviluppo di una tecnologia avanzata.
Per poter gestire tonnellate e tonnellate di rifiuti plastici in un sistema continuo dovrebbero essere progettati dei reattori avanzati e i processi chimici dovrebbero essere prima di tutto standardizzati.
E anche questi passaggi, come quelli spiegati prima, hanno bisogno di un grande aiuto economico per poter essere realizzati!
La ricerca di Guoliang Liu rappresenta un brillante esempio di innovazione scientifica applicata a una delle sfide ambientali più urgenti del nostro tempo.
Convertire rifiuti di plastica in prodotti utili come saponi e detergenti offre una soluzione potenzialmente rivoluzionaria per ridurre l’impatto ambientale della plastica.
Eppure, ad oggi il passaggio dalla pura ricerca ad una realtà industriale è ancora molto lontano.
Senza finanziamenti adeguati, infatti, questa grande e sostenibile soluzione ad uno dei più grandi problemi ambientali dei nostri tempi,
rischia di rimanere chiuso a chiave all’ interno dei laboratori di chimica della Virginia Tech, negli Stati Uniti.
Lascia un commento