Le malghe sono ricchezze preziose che l’allevamento di montagna ci regala dagli anni più antichi della storia dell’umanità.
L’etimologia della parola “malga” risale alla lingua prelatina e sta a sottolineare l’importanza di queste strutture come edifici per la produzione, in particolare, del formaggio.
Le malghe sono l’ insieme di vari elementi naturali come boschi, pozze, ruscelli, fauna e flora, che fanno di questo posto un paradiso in terra.
Sono custodi di una tradizione che affonda le sue radici milioni di anni fa, ma che allo stesso tempo ci porta a sviluppare nuove speranze per un futuro più sostenibile.
La leggenda dell’uomo delle malghe
Chi negli anni ha vissuto le nostre montagne italiane
sarà sicuramente venuto a conoscenza di tante curiose leggende che nei decenni passati hanno rappresentato il cuore di questi ambienti così tanto straordinari quanto,
soprattutto ad oggi, fragili.
È proprio di una di queste leggende che la realtà delle malghe si caratterizza dall’inizio del suo sviluppo.
L’origine dell’arte casearia negli alpeggi è caratterizzata dalla leggenda che racconta di un uomo selvatico conosciuto con nomi differenti a seconda dell’area geografica di riferimento:
- Homo selvadegon in Valtellina;
- Om salbvàrech nel Bellunese;
- Om pelo in Trentino;
- Ommo arvadzo in Val D’Aosta;
- Ono selvatico nel Lucchese.
Si tratta di un essere umano leggendario con una grande e possente pelle di caprone che gli scivolava lungo il corpo,
viveva in zone completamente isolate di boschi montani molto fitti
ed aveva una forza tale da riuscire ad inseguire con estrema facilità qualsiasi preda si trovasse davanti!
Quest’uomo, secondo la leggenda, passava tutti gli inverni, gli autunni, le primavere e le estati, senza tener conto delle avversità stagionali, sempre su in montagna,
accettando di scendere a valle e fraternizzare con i suoi simili solo pochi periodi l’anno, giusto il tempo per insegnare loro i mestieri della malgazione, quindi la lavorazione dei latticini.
Poi di nuovo su, in compagnia dei suoi affezionati alberi e pelli di caprone.
Leggende che diventano realtà
È stata proprio questa leggenda ad aver fatto accrescere il desiderio degli agricoltori di portare le mandrie in alpeggio secondo i ritmi stagionali.
Ritmi oramai diventati secolari!
“Montegar” o “desmontegar” in Trentino,
“targar” o “descargar” in Veneto,
“inarca” o “desarpa” in Val D’Aosta.
La conduzione di mandrie e greggi al pascolo per secoli è stata un’attività eroica, nel vero senso della parola!
Parliamo di intere famiglie di pastori che per tutto il periodo estivo si ritrovavano completamente isolati e lontani dalle valli abitate circostanti
per passare la maggior parte delle loro giornate, da maggio a settembre, negli alpeggi insieme al loro gregge.
Questa vita pastorale così tanto lontana dal nostro concetto di vita quotidiana è stata testimoniata in tanti modi,
ad esempio tramite racconti tramandati di generazione in generazione,
tramite storie raccontate direttamente a noi da chi, anche solo per poco tempo, ha vissuto quelle realtà.
Ma non solo!
Studiando negli anni questo mondo così tanto vicino ad una realtà naturale, sono state scoperte numerose scritture rupestri,
arrivando così a comprendere come ci siano stati tanti pastori ad aver lasciato segni del loro passaggio lungo le vie di transumanza,
come ad esempio messaggi scritti su sassi, che siano un saluto, un augurio, il conteggio degli animali o la registrazione di un incidente.
Pezzi di vita quotidiana incisi su ciò che possedevano all’epoca: la natura stessa!
Partiamo dalle origini
Siamo nel Medioevo, periodo durante il quale l’unico modo di concepire l’allevamento di animali era l’alpeggio.
Nelle zone vicine ai villaggi, i terreni migliori erano utilizzati principalmente per la produzione di alimenti come cereali, patate e legumi,
mentre le scorte di fieno erano disponibili solo per la produzione di prati – pascoli di mezza montagna, quindi si trattava di situazioni del tutto inaccessibili al bestiame.
Inoltre,
a quell’epoca gli statuti comunali imponevano ai vaccari e ai loro bestiami di trasferirsi in alpeggio durante i mesi più caldi per evitare danni alle coltivazioni a valle.
Gli unici liberi da questo obbligo erano i bovini da lavoro ed una capra da latte per famiglia,
quindi il minimo indispensabile per poter rifornire di latte i bambini della valle.
Per tutti gli altri, l’alpeggio era il loro unico posto disponibile durante questo periodo dell’anno!
In alcuni casi gli alpeggi potevano essere utilizzati anche da contadini non appartenenti al villaggio sottostante,
dando così modo alla comunità locale di poter aumentare i propri introiti.
Quando un contadino decideva di affittare un alpeggio,
questo era messo all’asta seguendo il metodo della candela,
secondo il quale se un contadino faceva un’offerta e nel mentre la candela si spegneva,
allora l’alpeggio per quell’anno era tutto suo!
Lo sfruttamento ambientale del 1300
Siamo nel 1300 quando le praterie naturali iniziarono a non essere più sufficienti a sfamare e mantenere un numero di animali allevati sempre più alto, anno dopo anno.
È per questo enorme aumento di bestiame che nei territori veneti e trentini iniziarono le prime attività di disboscamento,
con lo scopo ultimo di ricavare più superficie possibile da poter destinare al pascolo.
Queste attività di disboscamento, però, nel tempo iniziarono a creare diversi danni all’ambiente,
a partire proprio da enormi dissesti idrogeologici nelle aree a forte pendenza.
Di per sé il dissesto idrogeologico è la somma di vari cambiamenti del terreno che portano, nel tempo, ad un importante danneggiamento del suolo,
che causa così instabilità del terreno e, di conseguenza, distruzione di costruzioni intorno, vicino, o sopra la zona dissestata.
Si tratta anche di alcuni eventi definiti “naturali” come un’erosione superficiale o sotterranea, ma anche frane e alluvioni.
Nel 1300, fu proprio a causa di questi eventi così disastrosi che il Consiglio dei Dieci della Repubblica Veneta decise di emanare alcune norme aventi l’obiettivo di salvaguardare le aree di foresta ancora intatte.
Un centinaio di anni dopo questi eventi, l’Altopiano decise di concedere agli agricoltori il diritto di pensionatico,
diritto che veniva concesso in particolar modo agli allevatori dell’Altopiano,
dando così loro la possibilità di pascolare liberamente e a titolo gratuito su tutti i suoli della Pianura Veneta dalla stagione autunnale fino a quella primaverile inoltrata.
Il 1800 e l’agricoltura stanziale
Nei primi anni del 1800 la Repubblica di Venezia crollò!
E con lei anche il diritto di pensionatico.
Cosa comportò tutto questo?
Da buoni mammiferi quali siamo, la resilienza di tutti noi umani si fa sentire chiara e forte nei periodi di crisi, esattamente come avvenne nel 1800, quando l’essere umano decise di diffondere un nuovo modo di allevamento del bestiame!
Finisce nel 1800 la transumanza,
per dare così spazio ad un’agricoltura di tipo stanziale,
diminuire il numero di pecore portate al pascolo
ed aumentare invece il numero di bovini da latte.
Saranno proprio questi bovini da latte che,
negli anni successivi e fino ai tempi nostri,
verranno portati in zone di alta quota durante i periodi estivi, quando a valle fa troppo caldo.
A partire dal periodo estivo,
infatti,
le mandrie di bovini che passavano l’inverno a valle,
in una condizione sicuramente più calda rispetto a 2000 m di quota,
abbandonavano il paese per seguire il sentiero che le avrebbe portate in zone più fresche dove trovare il loro tanto amato alpeggio.
Alpeggio
Nella maggior parte dei casi l’alpeggio presentava un terreno elevato su cui era presente la cosiddetta “casara”,
una costruzione all’interno della quale veniva prodotto il formaggio.
Vicino alla casara si trovava poi un altro edificio che serviva proprio al deposito del latte appena munto,
edificio che, in alcuni casi, si poteva ritrovare ad un livello del suolo più basso in modo da dare la possibilità alla neve di accumularsi e rimanere lì fino all’autunno inoltrato,
in modo da poter conservare nel miglior modo possibile i prodotti caseari.
Una giornata nelle malghe nel 1800
Durante gli anni del 1800,
il bestiame veniva tenuto tutta la notte all’aperto, protetto da lunghi recinti e cinture di sassi.
Tutte le mattine all’ alba il vaccaro apriva poi i recinti ed accompagnava la sua mandria lungo il sentiero che portava al vero e proprio pascolo.
Era una vita molto solitaria la sua, completamente immerso nel verde e in compagnia delle sue vacche.
Molto spesso faceva compagnia al vaccaro un solo aiuto vaccaro,
un pò per pura compagnia e un pò perché la vita, su quelle alte e ripide montagne, era fin troppo pesante.
Una volta portata a termine la giornata, verso l’ora del tramonto,
il pastore tornava nei suoi alloggi accompagnato dalla mandria e, insieme all’aiuto vaccaro, dava inizio alla quotidiana attività di mungitura del bestiame.
E alla fine del periodo estivo?
Con l’arrivo dell’autunno il vaccaro iniziava i preparativi per la “smonticazione” o “desmalgiada”,
la festa di fine alpeggio dove le vacche,
che per tutta l’estate erano state al caldo e avevano prodotto latte e formaggio,
venivano incoronate con fiori.
A questa festa era presente la “Regina della mandria”, la vacca più famosa e importante che veniva ornata del collare di fiori più bello.
È così che avevano inizio i rituali della smonticazione!
Una giornata intera all’insegna di incoronazione, musiche di suonatori di fisarmonica e violino, lotte di forza tra uomo e animale, mazurche e polche.
Finita questa giornata di festa, uomo e animale riprendevano la via del ritorno verso gli stalli permanenti,
dove le vacche avrebbero passato i mesi più freddi dell’anno
mentre i vaccari chiudevano ufficialmente la stagione dell’alpeggio con una firma sui libri del comune
e le famiglie ricevevano burro e formaggio.
Si ritornava così alla vita di tutti i giorni, attendendo un nuovo tempo di malga.
Quando le malghe vennero sostituite dalle aziende agricole
La realtà delle malghe è iniziata a cambiare dopo il 1979,
quando ha iniziato a prendere piede un allevamento di bovini in vere e proprie aziende agricole con superfici di pascolo molto ampie e sviluppate.
A questa situazione si è poi aggiunta la possibilità di acquistare su mercato tutti gli alimenti per bestiame,
svincolando completamente gli allevatori dall’obbligo di portare il bestiame in determinati campi durante determinate stagioni dell’anno.
Tutto ciò, negli anni, ha dunque portato ad una sostituzione completa di vacche di tipo tradizionale, quindi da latte di montagna, con delle razze più specializzate e soprattutto super produttive.
Una vera e propria rivoluzione di bisogni ed abitudini!
Da specie naturali a specie artificiali: un vero cambio di direzione
Per molti allevatori, la malga e l’alpeggio sono diventate delle opzioni del tutto facoltative,
realtà quindi da poter evitare se troppo impegnative.
C’è da considerare un aspetto più che rilevante nella decisione di molti allevatori nel rinunciare alla vita di malga:
ad oggi le vacche sono delle vere e proprio “macchine da latte”.
Non si tratta più di bestiame frugale e resistente come nel passato,
ma parliamo ormai di un tipo di bestiame che non è più in grado di sostenere e sopportare tutti gli stress ambientali associati all’alpeggio,
quindi spostamenti, sbalzi climatici e creazione di nuovi gruppi sociali.
Attualmente le vacche da latte vengono alimentate per lo più con cibi non adeguati alla loro specie, sia per qualità sia per quantità.
Questo ha portato allo sviluppo di vacche da latte che non solo sono più produttive,
ma anche molto più grandi, imponenti e pesanti,
quindi non più in grado di spostarsi lungo dei sentieri ripidi e pascolare su pendii accidentati.
Fortunatamente, però, ad oggi esistono comunque alcuni allevatori che, ogni estate, scelgono di portare le proprie vacche fin sulle malghe,
dando loro l’opportunità di svolgere una vita più naturale e in linea con i cicli ambientali per loro di estrema importanza!
Ritrovare la nostra storia tramite le malghe
Le malghe rappresentano un “fossile” estremamente importante della storia umana e non solo!
Sono delle strutture alpine attraverso le quali si può ripartire. Hanno tutte le caratteristiche di un luogo in grado di rappresentare un punto di partenza per un’agricoltura ed un allevamento sostenibile,
dove la salute dell’animale e del terreno al loro interno ed intorno ha la stessa importanza del benessere umano.
Una malga è un luogo di grande importanza storica,
dove suolo, piante e pareti degli edifici potrebbero insegnarci molto della nostra storia,
tanto da umani quanto da animali quali siamo.
Hanno un vissuto che impregna ogni angolo del loro essere,
dalle recinzioni in alta quota ai sentieri in pietra che partono da valle.
Torniamo a conoscere le nostre origini ed impariamo a conservare ciò che di più prezioso la storia umana e l’ambiente naturale ha da lasciarci come testimone di un possibile avanzamento verso un’umanità migliore, sicuramente, di quella dei giorni nostri.
Non termina comunque qui il nostro discorso.
Le malghe hanno ancora tanto da raccontarci!
Quindi, come sempre, vi aspetto alla prossima malga!
Lascia un commento